MORTO DI DOLORE GIUSEPPE GIACCONI
TROPPO FORTE IL RIMORSO
PER AVER CAUSATO LA FINE DI SCARPONI

MORTO DI DOLORE GIUSEPPE GIACCONI TROPPO FORTE IL RIMORSO PER AVER CAUSATO LA FINE DI SCARPONI

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MORTO DI DOLORE GIUSEPPE GIACCONI
TROPPO FORTE IL RIMORSO
PER AVER CAUSATO LA FINE DI SCARPONI

L’artigiano, 57 anni, un cancro diagnosticato a novembre, incapace di reagire al destino causato al proprio amico

Si è lasciato morire, vinto dal tumore e soprattutto dal dolore.

Giuseppe Giacconi, l’artigiano filottranese di 57 anni che il 22 aprile scorso si era reso tragico protagonista dell’incidente stradale costato la vita al concittadino Michele Scarponi, se ne è andato domenica sera, nella propria casa, come aveva desiderato.

Giacconi si è portato dentro, per nove lunghi, interminabili mesi, il peso del rimorso di quanto involontariamente provocato quella mattina maledetta.

“Non l’ho visto… vi giuro che non l’ho visto” – le sue prime, immutate parole a difesa. “Sono rimasto accecato dal sole” – ha sempre sostenuto.

Nonostante la perfetta buona fede e la consapevolezza, in cuor proprio, di essere rimasto vittima, al pari di Scarponi, di una incomprensibile fatalità, Giacconi non si era più ripreso da quanto avvenuto sotto i suoi occhi.

Stando al racconto affranto di quanti lo conoscevano bene e che ieri lo hanno salutato per l’ultima volta, Giacconi non ha voluto reagire al fato, quasi per volersi punire di essere sopravissuto in luogo di un campione, un concittadino, un amico.

Viveva nel rimorso e poco ha giovato al suo animo ferito inviare, nel novembre scorso, non appena i medici gli confermavano la terribile notizia del male, una lettera alla giovane vedova Anna e agli adorati gemellini Giacomo e Flavia.

“In questi mesi – scriveva Giacconi – vi ho pensato molto, anzi sempre. Vi chiedo perdono per tutto il male che, anche non volendo, vi ho causato…”.

Con queste accorate, semplici parole, l’uomo cercava un pò di sollievo per il proprio animo sensibile, incapace di reagire ad un dolore continuo che il tempo non riusciva a lenire.

Contemporaneamente alla lettera anche l’esito infausto della propria malattia vissuta, anche questa, come un amaro segno del destino.

Giacconi, in pratica, ha rinunciato a combattere il cancro, concedendosi al male come via di fuga da una prospettiva di vita troppo dura da sopportare.

I Carabinieri che giunsero sull’incrocio teatro dell’incidente lo trovarono in lacrime, con il cellulare in mano per chiamare impossibili soccorsi e il corpo di Scarponi senza vita, disteso sull’asfalto e la bici – o quanto rimaneva – ancora inforcata.

Giacconi, ossessivamente, ripeteva a se stesso: “Non l’ho visto… lo giuro! Sono rimasto abbagliato da un raggio di sole. Non l’ho visto…”.

Per quella morte improvvisa, che turbò l’intera Italia sportiva e il mondo del ciclismo in particolare, pendeva su Giacconi l’accusa di omicidio stradale (reato estinto con la morte di Giacconi) e la conseguente perdita della patente, comunque riottenuta a settembre grazie all’intervento legale di Fabrizio Panzavuota.

Tutte notizie, comunque, incapaci di spronare l’uomo ad una qualsiasi reazione positiva.

“Prego per voi – continua la lettera ai familiari di Michele – affinchè il ritorno alla vita di tutti i giorni sia il più sereno possibile. Non so scrivere grandi parole… ma spero che un giorno, quando lo vorrete, potremo rincontrarci”.

Un incontro che il tempo, davvero breve, non ha concesso di materializzarsi; sostituito in Cielo con l’abbraccio di Michele, amico di sempre e per sempre.


 

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