𝗠𝗼𝗻𝘁𝗮𝗻𝗼 𝗶 𝗱𝘂𝗯𝗯𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘀𝘂𝗺𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗳𝗿𝗼𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗹 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗵𝗶 𝗱𝗼𝘃𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗳𝗼𝗿𝘁𝗲 𝗲 𝗰𝗵𝗶𝗮𝗿𝗼: 𝗱𝗮𝘃𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗮𝗱 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝘀𝗮𝗹𝗺𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗳𝗶𝗱𝗮𝗿𝘀𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗰𝗮𝗱𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗰𝗮𝘁𝗮? 𝗜𝗻 𝗮𝘀𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗶 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗰𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝘀𝘂𝗹 𝗱𝗮 𝗳𝗮𝗿𝘀𝗶 𝗹𝗲 𝗳𝗮𝗺𝗶𝗴𝗹𝗶𝗲 𝗼𝘀𝗶𝗺𝗮𝗻𝗲, 𝗹𝗲 𝘂𝗻𝗶𝗰𝗵𝗲 𝘃𝗲𝗿𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗶𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘁𝗲, 𝗲𝘃𝗶𝘁𝗮𝗻𝗼 𝗶𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗱𝗼𝘁𝘁𝗼 𝘀𝗮𝗹𝗺𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗿𝗰𝗶𝗮𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗼 𝗱𝗮 𝗰𝗵𝗶𝘂𝗻𝗾𝘂𝗲
Da qualche giorno in città, a metà tra la barzelletta e il fatto vero, han preso a girare storielle mordaci, tipo questa: un amico invita l’altro a cena offrendo tra gli antipasti quello che dovrebbe essere dell’ottimo salmone affumicato, della migliore qualità.
L’amico apprezza, si siede a tavola, assaggia con acquolina alla bocca il boccone ma… masticatolo due o tre volte nota un retrogusto non previsto, anzi sgradevole.
Per educazione continua a mangiare il salmone ma anche il nuovo boccone non si scioglie esattamente in bocca, anzi…
Morale della serata, essendo i due piuttosto amici, l’invitato fa al padrone di casa… “Caspita ma che mi fai mangiare? Non senti anche tu che questo salmone ha dei problemi?”.

E il padrone di casa, sicuro di sé, assaggiandone un pezzo, replica. “Ma quale problema… gustati questa autentica bontà… e poi con quello che costa… lo scelto per te? E’ come assaporare la freschezza del mare norvegese in bocca. Non fidi? Vado a recuperare la confezione con la scadenza…”.
Vera o gonfiata che possa essere, l’aneddoto rende l’idea della “psichosi”, non montata tanto per parlare, che sta attanagliando le famiglie osimane dopo la vicenda Le Iene-La Nef incentrata sulla contraffazione, come prassi abituale, della data di scadenza.
Trattasi di una vera e propria frode in commercio, dimostrata ampiamente dai video rubati dall’ex dipendente LA NEF Miro JAKOVLJEVIC, suicidatosi il 25 settembre 2022 dopo una serie di trattative con la proprietà del prestigioso marchio.

Un reato punito dal Codice penale all’articolo 515 con una pena fino a due anni e una piccola multa ma nel caso specifico, riguardante l’imprenditore osimano Giordano PALAZZO, aggravato dal fatto che la rimessa in vendita del salmone allungato in vita a livello artificiale ha provocato gravi problemi, fino al rischio di vita, della consumatrice bolognese Roberta FALLAVENA, nel 2023 moribonda in un letto di ospedale per tre lunghe settimane.
Perché se ora la consumatrice e la vedova del bosniaco impiccatosi a “La Coccinella” puntano, giustamente a soldi… come dovrebbero comportarsi, nel dubbio sollevato da Le Iene, gli altri 59.999.998 italiani?
Ad Osimo la percezione è che, in mancanza di risposte, sia da LA NEF che dagli organismi predisposti alla tutela (Ast e/o Nas e/o Polizia giudiziaria), il consumo di prodotto sia crollato; ma nel resto d’Italia, nonostante la popolarità della trasmissione investigativa Mediaset, immaginiamo, ben poco o nulla i consumatori sanno della questione.

Dunque?
Sbirciamo cosa dice la Legge in fatto di sequestri penale alimentare e quando la misura può essere attuata:
- Mancanza di igiene o stoccaggio in ambienti inadeguati
- Prodotti con evidenti segni di alterazione
- Alimenti contaminati a causa di cottura inadeguata
- Alimenti contaminati da persone infette
- Illeciti amministrativi
- Reati penali
- Contaminazione crociata
- Prodotti con data di scadenza superata
Esattamente quello che parrebbe essere il nostro caso di specie, specificando che non stiamo narrando di prodotti il cui termine minimo di conservazione è indicato con l’avvertenza “da consumarsi entro il…” e neanche dalla più generica indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il…” ma di prodotti deperibili, come il salmone affumicato, assoggettato ad un termine perentorio di commercializzazione indicato col termine esatto di consumazione, giusto appunto la data indicata in etichetta, non valicabile.
Al riguardo giunge a conforto una notizia di cronaca del recente passato avente per tema cozze e scampi congelati.
Leggete qua. I Carabinieri per la Tutela Agroalimentare dell’Emilia-Romagna sequestrarono a produttori e commercianti del litorale adriatico, ingenti quantitativi di molluschi bivalvi vivi denunciando in stato di libertà:
1) due persone per il reato di “tentata frode in commercio” poiché venne accertato che su 480 confezioni da un kg. di cozze, era riportata una data di confezionamento posticipata rispetto a quella reale;
2) un terzo soggetto, per lo stesso reato, venne denunciato poiché sorpreso “subito dopo aver apposto, su 104 confezioni di scampi congelati scaduti nell’anno 2019, nuove etichette che riportavano quale data di scadenza l’anno 2021”.
La precisazione, quindi, risulta chiara è davvero simile al caso LA NEF: se porre in vendita un prodotto alimentare meramente scaduto non è di per sé reato, metterlo in vendita dopo che su quel prodotto si sono fatti “giochi di prestigio” con le date di scadenza, costituisce invece un chiaro illecito penale.
Il reato in questione è frode in commercio, che sarà pienamente consumato se la transazione commerciale sia stata già realizzata; o anche solamente tentata se il prodotto fraudolento posto in vendita non dovesse essere stato ancora comprato da alcuno.
Attenzione. L’esempio riportato vale solo per vendita più o meno realizzata. In merito alla nocività o alla cattiva conservazione del prodotto, se questo elemento dovesse ricorrere come capitato a Bologna, scatterebbero ulteriori ipotesi di reato, aventi a oggetto la salute.
Interessante, in conclusione, anche una recente sentenza di Cassazione in ordine ai dubbi sorti in mente al 58enne dipendente Miro JAKOVLJEVIC, prima di chiudere tragicamente la propria esistenza.
L’interrogativo, riguardante anche i lavoratori LA NEF impiegati nella pratica dei “giochi di prestigio” realizzati con l’utilizzo dei phon asciugacapelli, è il seguente: quando gli autori del reato sono più di uno… chi ne risponde?
Qualche anno fa la Cassazione emise una rilevantissima sentenza in una vicenda analoga alla nostra, condannando la responsabile di un supermercato e un suo sottoposto per detenzione di prodotti alimentari con etichetta contraffatta.

Più precisamente, la responsabile del punto vendita, secondo la ricostruzione della Corte, aveva impartito al dipendente la direttiva di alterare la data originaria di scadenza, riportata sull’etichetta di alcune confezioni di hot dog, sostituendola con una posticipata di venti giorni.
Ultima precisazione: la Suprema Corte rigettò radicalmente la difesa del dipendente di aver agito in “stato di necessità”, per usare i termini del Codice penale, ossia di aver “eseguito gli ordini” della sua superiora, in qualità di lavoratore dipendente e quindi costretto dal timore di subire ritorsioni sul luogo di lavoro da parte della coimputata.
Secondo i Giudici del Palazzaccio, infatti, il sottoposto avrebbe potuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e subito dopo avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori.
Quindi, furono condannati entrambi gli imputati.
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