“MORTA LA MAMMA? ORA CHI PENSERÀ A ME?”
DATA DECESSO SPOSTATA DA 15 A 30 GIORNI
Un’intera vita in simbiosi, la figlia – diversamente abile – ha taciuto l’evento per paura di finire abbandonata in un istituto
Ad aprire la porta a Polizia e Vigili del Fuoco, accorsi lunedì sera nell’abitazione in via Recanati, allarmati dall’apprensione dei vicini, ha dunque pensato la figlia stessa Stefania Lasca.
Il particolare, emerso nelle ultime ore, rende ancor più inquietante il quadro sociale di estremo abbandono – privato e pubblico – della vicenda Peruzzini.
Sarebbe dunque bastato che qualcuno, come fatto dalle Forze dell’ordine prima di sfondare eventualmente la porta, avesse banalmente suonato all’appartamento della povera Luigia affinchè l’episodio, ancorchè tragico, potesse essere contenuto entro un limite temporale più accettabile.
Limite temporale che, con il passare delle ore e ricostruzioni più approfondite della vicenda, tende ora a spostare il momento della morte ben al di la dei 15 giorni – già lunghissimi – ipotizzati in prima battuta.
Stando allo stato di ampia putrefazione in cui il cadavere dell’anziana donna è stato ritrovato, si tende ad indicare la data del trapasso non già attorno al 22 aprile ma più probabilmente anticipata alla prima decade del mese, ovvero circa 30 giorni fa.
Per tutto questo interminabile tempo la figlia maggiore Stefania Lasca, 51 anni – diversamente abile e totalmente dipendente per le proprie necessità dalle cure riservatole da sempre dalla povera mamma – ha atteso il “risveglio” dell’anziana.
Una vita in simbiosi, quella di Luigia e Stefania, andata accentuandosi negli ultimi dodici anni con la morte del padre e marito, avvenuta nel 2006.
Tornando alla macabra scoperta, vissuta – nonostante la solitudine, il fetore e addirittura il coricarsi insieme, come sempre fatto, nel letto matrimoniale condiviso dalle donne – senza traumi ulteriori apparenti per la mente della figlia, non è escluso che Stefania, specie nei primi giorni dall’avvenuto decesso, non abbia risposto a possibili bussate alla porta o comunque sentito l’istintiva necessità di chiedere spiegazioni ad altri del palazzo, temendo il certo distacco fisico dalla propria unica motivazione di esistenza in vita.
Nella mente della donna la morte della mamma potrebbe essere stata camuffata, fin tanto possibile, come un sonno prolungato a cui, pian piano, trasferire l’idea dell’irreparabile e delle conseguenze da cui sfuggire.
Pur di non distaccarsi definitivamente dalla propria e unica ancora che le ha trasmesso e dato la vita per 51 anni, Stefania ha così “preferito” attendere che quegli si riaprissero e le mani tornassero ad accarezzarla come sempre.
Questi timori, non appena i poliziottì lunedì sera si sono visti aprire l’appartamento, si sono rapidamente tradotti in realtà, aprendo la porta ad un racconto tragico nella propria umanità ferita.
Un racconto e quindi una posizione, probabilmente, del tutto sconosciuta ai Servizi sociali del Comune che pure dovrebbero perseguire la mission di scoprire e portare a sollievo, se non a soluzione, i molti casi simili che certamente la non cultura, frammista ad una vergogna che non dovrebbe sussistere, rende da sempre possibile episodi di estrema gravità anche alle nostre latitudini.
Tornando all’ingresso in casa dei soccorritori, accolti con naturalezza da Stefania e dal terribile fetore custodito nell’intero appartamento, gli agenti hanno immediatamente chiesto della mamma ricevendo per risposta che stava ancora dormendo.
Chiesto di poter accedere alla camera da letto si è avuto certezza che l’irreparabile temuto si era già consumato, nella parziale incoscienza della figlia.
Con il lento passare dei giorni nella mente della diversamente abile, costretta a nutrirsi con quanto trovato in casa, scatolette e poco altro, si è andata facendo strada l’ipotesi che quel sonno di mamma Luigia era troppo lungo e strano.
Con questo concetto, però, si è fatto forte anche il timore del cosa potesse accadere a lei se, per caso, la mamma fosse venuta meno.
Alla precisa domanda del perchè non avesse avuto l’idea di avvertire il vicino di pianerottolo su cosa era successo alla mamma, Stefania confondendo i giorni (a lei sembravano essere “appena” una decina…) ha infine fatto intendere di aver temuto e di temere per il proprio futuro, di essere rinchiusa in qualche istituto, di vedere la propria vita finita insieme a quella della persona che a lei si era dedicata da sempre.
Interrogativi, una volta di più, che aprono la strada alla risposta mancata o insufficiente che i nostri Servizi sociali in avaria, definiti dai politici osimani di lungo corso in stato di emergenza già dal dopo Polenta (finire anni ‘80!), pongono a situazioni simili.
Detto che spetta alla Politica, nel senso più nobile del termine, occuparsi ed indirizzare la risposta alla crescente domanda di sociale espressa dal territorio e detto come questo accada con efficacia sempre minore da 30 anni a questa parte, occorre anche sottolineare come tra gli stessi operatori nessuno brilli particolarmente per capacità, dedizione, interesse a svolgere una funzione che non dovrebbe mai essere confusa come un semplice lavoro e l’attesa del 27… nella speranza, spesso fondata, che nessuno bussi alla porta.
Come insegna la vicenda Perucchini i problemi, se non emergono naturalmente, vanno ricercati e affrontatati dalla società, ad uno ad uno, setacciando il territorio con santa pazienza, senza paura di suonare campanelli…
I funerali di Luigia Peruzzini avranno luogo questo pomeriggio, ore 16, presso la chiesa della Sacra Famiglia e da qui verso il cimitero maggiore.