Dopo aver dimenticato quasi una strofa, la cerimonia per la finale di Coppa Italia deturpata dalle frasi pro Floyd urlate dal californiano
Detto che il Canto degli Italiani perderebbe qualità, fino a diventare semplicemente brutto da ascoltare, persino se cantato a cappella dal suo ideatore Goffredo Mameli, censuriamo senza se e senza ma la falsa emozione di tal Sergio Sylvestre, cittadino americano, scelto dalla politically correct cara al Partito Democratico in quanto simile – per abbigliamento e folto barbone nero – alle piume da lavare del povero Calimero!
La scelta di chiamare uno straniero a cimentarsi, in un momento ufficiale di unità nazionale – ancorchè sportivo, non a caso richiamato fin dal nome Coppa Italia – non è cosa grave ma pericolosa.
Giorno dopo giorno, l’obiettivo non a caso corretto voluto dalla politica del Centro-Sinistra, è quello di far apparire normali, fino a non farci più caso, situazioni e concetti che con la normalità non hanno nulla a che vedere. Persino a costo di “massacrare”, fingendo perdita di memoria quasi una intera strofa del testo del povero Mameli, già massacrato dall’assenza della musica di Michele Novaro.
Ovviamente senza possibilità di commento e reazione. O accetti il cantante straniero e la sua “emozione” o sei immediatamente bollato – dai ben pensanti Pd – come razzista e fascista.
Noi, al contrario, siamo fieri di appartenere alla maggioranza silenziosa del popolo italiano che in una occasione del genere gradirebbe molto ascoltare e cantare il proprio inno senza dimenticanze, senza storpiature e senza pugni chiusi al momento del fatidico “Si” finale.
Nonostante l’acrobazia del regista Rai, bravo ad intuire la fregatura che questo Sylvestre americano avrebbe di a poco riservato agli italiani tutti, presenti e assenti, il corpaccione è riuscito per qualche istante, proprio sul si liberatorio, ad esibire il pugno chiuso destro, senza avere il tempo di indossare il guanto nero tipico mostrato nel 1968 a Città del Messico da Tommie Smith e John Carlos; in compenso sembra che il nostro corpulento eroe della correttezza razziale (qualcuno ce ne spieghi il significato) abbia avuto anche la ben preordinata idea di gridare “no justice, no peace”, slogan in auge negli States e di stretta attualità tra i movimenti anti razzisti che si rifanno a George Floyd.
Il tutto così, in diretta Rai con una decina di milioni o più di spettatori collegati, tanto per rimediare all’emozione del momento…
“Mi sono bloccato – ha ammesso tal Sylvestre a fine gara – non perchè mi sono dimenticato le parole, ma perchè mi è venuta una tristezza molto forte. Mi sono emozionato”.
Nessun cenno da parte dell’americano sul pugno chiuso e sulle parole che sarebbero state gridate sul “si”… parole che solo i pochi presenti nelle vicinanze hanno potuto udire, senza dargli, a caldo, magari, alcun tipo di importanza.
Detto, a questo punto, che Sylvestre di Los Angeles, anzichè sorbirsi fino a i rigori, una delle più brutte finali di sempre di Coppa Italia, si sarebbe trovato ideologicamente a miglior agio, utilizziamo il forse, a sfregiare un pò di statue nell’attiguo Stadio dei Marmi… tocca tornare alla domanda originaria.
Perchè chiamare (e probabilmente pagare) un cantante della lontanissima California, anconchè in Italia dal 2012?
Forse perchè dimenticare una strofa dell’Inno d’Italia può succedere; se non sei italiano. Così come alzare il pugno può succedere… se non sei italiano.
Passa parola e fate circolare. Ma attenzione. I nemici dell’Italia mirano da sempre proprio a questa situazione e sono pronti da un pezzo ad attaccare sul loro terreno di confronto preferito: propaganda ideologica camuffata sotto un collaudato saio di dolciastra bontà.