𝗜𝗹 𝗺𝗮𝗳𝗶𝗼𝘀𝗼 𝗽𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗼, 𝟲𝟳 𝗮𝗻𝗻𝗶, 𝗿𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗮 𝗖𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮𝗻𝗼𝘃𝗮 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗵𝗲, 𝘀𝗼𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝗰𝗮𝗿𝗿𝗶𝗲𝗿𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗼𝗺𝗶𝗰𝗶𝗱𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗯𝗲𝗻 𝟮𝟬𝟬 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗮, 𝗵𝗮 𝗿𝗶𝗴𝗲𝘁𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗹’𝗮𝗰𝗰𝘂𝘀𝗮 𝗮𝗳𝗳𝗲𝗿𝗺𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻 𝗯𝗲𝗻𝗲𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗺𝗶𝘀𝘁𝗲𝗿𝗶𝗼𝘀𝗼, 𝘀𝗮𝗽𝘂𝘁𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝘀𝘂𝗲 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗶𝗰𝗼𝗹𝘁𝗮̀, 𝗵𝗮 𝗺𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗶𝗻 𝗺𝗮𝗻𝗼 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗺𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗶𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗲𝗱𝗶𝗹𝗲 𝟱.𝟬𝟬𝟬 𝗲𝘂𝗿𝗼 𝗱𝗮 𝗴𝗶𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗹 𝗽𝘂𝗴𝗹𝗶𝗲𝘀𝗲. 𝗟𝗮 𝘃𝗲𝗿𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗶𝗮 𝗲̀ 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗾𝘂𝗲 𝘃𝗮𝗹𝘀𝗮 𝗹𝗮 𝘁𝗿𝗮𝘀𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗱𝗲𝘁𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗮 𝗰𝗮𝗿𝗰𝗲𝗿𝗮𝗿𝗶𝗮 𝗮 𝗱𝗼𝗺𝗶𝗰𝗶𝗹𝗶𝗮𝗿𝗲. 𝗡𝗲𝗹 𝗳𝗿𝗮𝘁𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗶𝗹 𝗧𝗮𝗿 𝗵𝗮 𝗿𝗶𝗮𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗔𝗻𝗻𝗮𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝗮 𝗮 𝘁𝗼𝗿𝗻𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗱 𝘂𝘀𝘂𝗳𝗿𝘂𝗶𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝘀𝗼𝘀𝗽𝗲𝘀𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗿𝗮𝗺𝗺𝗮 𝗱𝗶 𝗽𝗿𝗼𝘁𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗴𝗮𝗿𝗮𝗻𝘁𝗶𝘁𝗼 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗼 𝗦𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗶 𝗽𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗶
“Io capace di una estorsione? Quando mai, signor giudice. Non ho crediti da riscuotere con nessuno. I 5.000 euro che mi sono stati consegnati, tramite un cliente del ristorante di mia figlia, sono soldi di una terza persona a me cara, che sapendomi nelle spese, ha voluto aiutarmi a superare questo periodo. Non sarei mai capace di un simile atto…”.
Parole e musica di Salvatore ANNACONDIA, 67 anni, da tempo “rifugiato” a Civitanova Marche, meglio conosciuto con l’appellativo di “Mano mozza”; favoletta di Natale suggerita da un avvocato maceratese, Gabriele COFANELLI, tra i più valenti in circolazione nelle Marche, premiata comunque dal giudice per le indagini preliminari Claudio BONIFAZI con la trasformazione della detenzione del pluri omicida, da carceraria a domiciliare.
Per la cronaca ANNACONDIA, originario di Trani e noto nel mondo della mafia pugliese per essere ritenuto il mandante o esecutore di circa 200 omicidi (di cui 70 riconosciuti dallo stesso protagonista), diventò “Mano mozza” sin dai 14 anni, perdendo la mano destra a seguito di una esplosione in mare, avvenuta durante una battuta di pesca.
La carriera nella mafia, nel gruppo di Nitto SANTAPAOLA, è invece datata 1989 con l’apertura di un ramo pugliese in contrasto con la Sacra Corona Unita ritenuta da ANNACONDIA “organizzazione non di largo respiro”.
Ufficialmente titolare di un ristorante di lusso a Trani, Mano mozza al momento dell’arresto (decisivo nel trasformare il delinquente in uno dei primissimi collaboratori di giustizia) sul finire del ’92 contava già su un patrimonio personale pari a circa 4 milioni di euro e aveva appena fallito un attentato a Totò RIINA.
La svolta, nello stesso anno, con la malattia del figlio, choccato e costretto di clinica in clinica dalla notizia di essere venuto al mondo grazie ad un padre criminale, pentitosi di un solo omicidio dei 70 confessati e dei circa 200 che comunque, in carriera, sono attribuiti a Mano mozza.
Da qui l’avvio dell’iter amministrativo per acquisire il titolo di collaboratore di giustizia e il rapporto col dipartimento nazionale antimafia che nel 2006, dopo otto anni di udienze, portò alla sbarra 115 imputati di cui 31 condannati all’ergastolo per vicende di traffico e spaccio di droga, traffico di armi, estorsioni ed omicidi in serie.
A giugno 2018, durante un processo alla ‘ndrangheta stragista, affermò che la Calabria è la mamma di tutti i gruppi organizzati italiani: camorra, Cosa nostra, Sacra corona unita e ovviamente ‘ndrangheta. E che Milano tutti fanno riferimento alla famiglia DE STEFANO di Reggio Calabria… al punto che nel capoluogo lombardo non c’è foglia in grado di muoversi senza il consenso calabrese!
Fin qui il personaggio che, il 28 settembre scorso, a corto di sordi e non più sotto l’ala protettrice dello Stato, c’è comunque ricascato rompendo le scatole ad un imprenditore edile di Fermo per il pagamento di 10.000 euro.
A tradire ANNACONDIA la segnalazione, giunta alla Squadra mobile di Fermo, di numerose visite fatte da Mano mozza nell’azienda dell’imprenditore.
E’ stato così ricostruito che l’uomo era stato fatto oggetto di minacce, anche fisiche, per un presunto debito di 10.000 euro, non onorato, che un dipendente dell’impresa edile avrebbe assunto, a dire di Mano mozza, con ANNACONDIA.
La responsabilità dell’imprenditore? “Colpevole” di pagargli uno stipendio senza assicurarsi che il dipendente gli saldasse il debito!
Richieste monitorizzata dalla Squadra mobile fermana a partire da inizio estate e sempre più numerose per “ricordare” il pagamento del debito attraverso intimidazioni di varia natura e portata: dalla minaccia di prelevare con la forza il “lavoratore moroso” fino alle vere e proprie promesse di morte nei confronti dell’imprenditore edile.
Da qui il versamento di una prima tranche di 2.000 euro e ulteriori dazioni frazionate, prelevate da Mano mozza direttamente in azienda.
Fino al giorno, a settembre, in cui il povero Cristo tartassato ha trovato la forza per eccepire che il debito non era suo e che il vero debitore si era messo a lavorare in proprio.
Per tutta risposta Mano mozza rispose di pagare celermente e fino in fondo. Diversamente avrebbe potuto vendergli, a 10.000 euro! – una casa di proprietà, annullando quanto dovuto!
A questo punto, considerato che Mano mozza non gli riconosceva quanto già versato e continuava a pretendere o 10.000 euro in un’unica soluzione o l’intestazione di un appartamento (!), l’uomo si è visto perso e costretto a rivolgersi finalmente alla Polizia.
Sabato 29 settembre la trappola scattata con i 5.000 euro già fotocopiati, consegnati dall’imprenditore alla richiesta di ANNACONDIA ascoltata dai poliziotti piazzati in ufficio e in attesa dello scambio.
Fino all’arresto per estorsione continuata e la detenzione in carcere, fino a venerdì 15 novembre, per una cinquantina di giorni; trasformata ai domiciliari grazie alla richiesta di modifica della misura presentata dall’avvocato COFANELLI.
Ma le buone notizie, avendo buoni avvocati, non finiscono mai. A Mano mozza è stato notificato, in queste ore, anche la sentenza del Tar Marche che ha accolto l’istanza di riammissione al programma di protezione, perduta dal boss, con annessi benefici.
Alle necessità spicciole e meno spicciole di ANNACONDIA, a corti discorsi, lo Stato – ha ribadito il Tar – deve pensare lo Stato, ovvero noi, senza invogliare Mano mozza a ricorrere a scorciatoie estorsive.
Così è scritto.