“𝐍𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐢𝐧 𝐝𝐮𝐞 𝐦𝐞𝐬𝐢 – 𝐝𝐞𝐧𝐮𝐧𝐜𝐢𝐚 𝐒𝐢𝐥𝐯𝐚𝐧𝐚 𝐒𝐚𝐥𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 – 𝐬𝐢 𝐞’ 𝐩𝐨𝐬𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚 𝐬𝐞 𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐫 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐭𝐚’ 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐬𝐮𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨, 𝐮𝐧𝐨 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨, 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚, 𝐮𝐧 𝐬𝐨𝐫𝐫𝐢𝐬𝐨”. 𝐈𝐧𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐟𝐫𝐚𝐭𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥𝐞, 𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐬𝐚𝐠𝐢𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐧𝐧𝐚 𝐚 𝐩𝐥𝐚𝐜𝐚𝐫𝐬𝐢, 𝐚𝐧𝐳𝐢 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐧𝐭𝐮𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐍𝐚𝐭𝐚𝐥𝐞, 𝐬𝐢 𝐞’ 𝐫𝐢𝐯𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐨𝐬𝐢𝐦𝐚𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐚 𝐚𝐩𝐞𝐫𝐭𝐚, 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐮𝐧 𝐦𝐞𝐬𝐞: “𝐀𝐥𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐭𝐚𝐭𝐞𝐜𝐢…”
Prima utilizzati e subito dopo abbandonati da tutti, in primis da quei servizi sociali già assenti nel caso Ilaria.
A denunciare l’isolamento, al limite della criticità, di una famiglia in evidente affanno è Silvana SALVATORE, mamma di Ilaria e mamma di Daniele; figlio che, a distanza di un solo mese, è tornato giusto ieri a prendere carta e penna per denunciare lo stato di difficoltà, ai limiti della depressione, che la vicenda Ilaria e la conseguente “perdita” anche delle piccole nipotine Bayan e Imet, ha inevitabilmente causato, accentuato dal calore mancato di Natale, nel disagio umano del nucleo familiare.
A fine novembre il primo sfogo pubblico, il primo “appello” a non dimenticare. Ad offrire la stura per una prima dolorosa pubblica ribalta, fu il femminicidio della giovane ucraina Anastasiia, strappata alla vita a Fano.
Nella giornata istituzionalmente dedicata al ricordo delle centinaia di scarpette rosse strappate alla vita, il Presidente del Senato Ignazio LA RUSSA e il Presidente della Regione Marche Francesco ACQUAROLI resero omaggio alla figura della ragazza deponendo un mazzo di rose rosse davanti l’abitazione.
Un gesto doveroso, rimasto indelebile nella memoria di molti, tra cui Daniele MAIORANO; tanto da spingere il fratello di Ilaria a lamentarsi per la differenza di trattamento ricevuto, con una prima lettera aperta recapitata ai giornali.
“Ci sono per caso femminicidi di serie A e di serie B?” – mise nero su bianco un giovane uomo in evidente difficoltà.
“Io e mia madre Silvana ci sentiamo offesi. Chiediamo tutta la verità e giustizia per la nostra Ilaria”.
Nell’imbarazzo delle Istituzioni nessuno ebbe il coraggio di replicare, non comprendendo, al di la delle parole, il disagio interiore denunciato dal familiare.
L’altro ieri, dopo il no comunicato ai MAIORANO di poter rivedere, abbracciare e festeggiare almeno il Natale con le piccole bimbe (dall’omicidio di Ilaria affidate ad una casa famiglia in attesa di affido), Daniele è tornato alla carica consegnando il proprio, stavolta alla carta stampata.
“Io mi chiamo Daniele MAIORANO, sono il fratello di Ilaria morta l’undici ottobre e quindi sono due mesi e mezzo quasi.
Girano voci che diverse persone sia di Osimo che frazioni sparlano ancora, e se non la smettono cominciano a partire le denuncie perché ci stiamo stufando ci sentiamo offese come famiglia.
E poi tutto questo ci addolora molto per quello che ci è successo perché è un dolore troppo grande, che non auguriamo a nessuno.
Dicono che noi l’abbiamo abbandonata a se stessa, invece non è vero, perché era lei che veniva a casa nostra una volta la settimana per un’ora, e noi a casa sua non ci potevamo andare e non ci raccontava mai niente.
Quello che abbiamo saputo è quasi tutto dai giornali (in realtà solo OSIMO OGGI riportò il tentato stupro di Tarik, NdR.).
Poi dicono che prendeva le botte anche da suo padre da piccola e loro come fanno a saperlo che vivevano a casa nostra?
Comunque prima di parlare di certe cose delicate è meglio che si informano, e non che parlano senza sapere come stanno le cose. Perché quel che dicono non è vero un bel niente, perché ora stanno facendo proprio schifo.
Siamo proprio delusi io e mia madre Silvana.
Infine che mio padre è morto nel 2007, che lo lascino riposare in pace e non infanghino la sua memoria”.
Una serie di accuse, alcune anche gravi, vissute come assodate dalla famiglia MAIORANO che chiede agli osimani di smetterla con insinuazioni, deduzioni, commenti e sentenze.
Espressioni di un interesse, quello della gente, non rispondente esattamente al vero ma comunque percepito come reale da mamma e figlio che gridando di essere lasciati in pace in realtà urlano silenziosamente l’esatto contrario, ovvero lo status di comunità in difficoltà depressiva, situazione di cui qualcuno dovrebbe farsi carico.
Sentita al riguardo mamma Silvana ha confermato che l’unico contatto avuto con la struttura dei Servizi sociali fu la mattina dell’omicidio, quando venne informata telefonicamente, degli avvenimenti di via Montefanese. Forse, ricordiamo noi, gli uomini e le donne dei Servizi incontrarono mamma e figlio all’indomani della polemica fiaccolata per ricordare Ilaria, culminata con le accuse di inefficienza, ritrattate la mattina dopo, recapitate pubblicamente in piazza agli stessi servizi comunali.
In realtà, è parso di capire, nessun addetto ai lavori si è mai posto, neanche per ipotesi, l’idea che madre e figlio, duramente provati psicologicamente e non solo, potessero avere bisogno di un sostegno. Non tanto pratico come ricevere pasti o pagamenti di utenze (settore in cui i nostri servizi pare eccellono… ) ma dal punto di vista umano con una parola, il manifestarsi di uno sguardo, di una preoccupazione vera. Magari l’intervento taumaturgo di uno psicologo.
Perché non è con la distribuzione di buoni pasto o l’occuparsi con maggior urgenza in caso di minori, che si dovrebbe esaurire la gamma dei servizi a supporto delle persone; persone senza età, minorati temporanei da turbe dell’animo non visibili, abbandonate alle personalissime difficoltà del vivere quotidiano.