Originario di Chieti il ragazzo ha trascorso la metà della vita senza più riprendere conoscenza. Amante del mare e corteggiato da Fiat e Ferrari aveva scelto la Busco per assecondare la passione per il mondo nautico. Nel 2015 i genitori si rivolsero al Ministro Lorenzin e alla associazione Luca Coscioni per l’appoggiare l’eutanasia verso Luana Englaro. “Certe decisioni – hanno sottolineato invano mamma e papà – dovrebbero essere rispettate dallo Stato e affidate alla famiglia”
Ci ha lasciato dopo 23 anni e mezzo di coma duranti i quali, Mariano SUPINO, all’epoca 26enne, giovane ingegnere aeronautico di grandi speranze, non ha mai più ripreso conoscenza.
Originario di Chieti, Mariano al momento del tragico frontale (auto contro camion, avvenuto all’Aspio) abitava in città da circa un anno, alle dipendenze della Busco, azienda nautica di imbarcazioni e yacht, sempre all’Aspio.
Era la mattina di giovedì 6 novembre 1997, una vita fa, fuori pioveva e la stradina che costeggia l’autostrada per sfociare sull’Adriatica era al solito trafficata. Una svista e l’Opel Astra e un autocarro si sono scontrati, muso contro muso, senza lasciare speranze al giovane alla guida.
Da quel momento è iniziato il calvario di Mariano SUPINO e dei suoi oggi anziani genitori, Pietro e Nicolina, che hanno assistito e rinnovato per 8.580 giorni, esattamente 23 anni e mezzo, il dolore per quanto irreparabilmente avvenuto in un secondo. Fino alla liberazione con l’incontro con la morte, avvenuta l’altra settimana a Chieti, martedì 4 maggio, notizia giunta ad Osimo con qualche giorno di comprensibiule ritardo.
E’ questa, in fondo, immediatamente dopo il dolore per la sorte di una vita spenta all’alba dei 50 anni (di cui praticamente la metà non vissuti), la notizia di un padre e di una madre sfortunati, che hanno lottato, senza riuscirci, di regalare a Mariano un addio dolce, naturale, immediato. Senza riuscirci.
È la storia di un ragazzo senza fortuna e dei suoi infermieri speciali, il padre e la madre; è la storia della vita dentro la morte. Fino a quando il cuore di quel ragazzo, diventato uomo in un letto, non ha cessato di battere liberando gli occhi, sempre chiusi da quel maledetto incidente del 1997.
Mariano ha vissuto così a lungo perché, dopo il devastante frontale avvenuto all’Aspio, dei magnifici genitori si sono presi cura di lui con un amore infinito e una pazienza sovrumana, trasformando anche la casa di famiglia, a Chieti, in un luogo adatto alle esigenze di chi, per quasi un quarto di secolo, è rimasto al buio, in coma apallico, cioè in stato vegetativo e stato di coscienza minima, se non assente.
L’unica capacità recuperata da Mariano in questo lunghissimo viaggio nell’oltre tomba in terra, è stata in pratica la facoltà di imparare di nuovo a deglutire liquidi e poltiglie, funzione che il mancato ingegnere aeronautico, laureatosi al politecnico di Milano e inseguito da aziende famose come Fiat e Ferrari, ha potuto lentamente apprendere in un centro specializzato austriaco.
Anche in questo lungo, tragico, eroico viaggio compare un prima e un dopo: lo spartiacque è il ricordato giovedì 6 novembre 1997, veramente una vita. Per aiutarvi a comprendere le dimensione della tragedia nel tempo, lady Diana era appena scomparsa a Parigi.
Mariano, allora 26 anni, grande nuotatore e velista, una passione sfrenata per il mare e le immersioni, stava andando al lavoro, in macchina. La laurea, presa tre anni prima al Politecnico di Milano, gli aveva in effetti fruttato una marea di offerte da parte delle migliore eccellenze nazionali ma la sua passione restava pur sempre legata al mondo marino.
Da qui l’idea di specializzarsi nella progettazione di barche e accessori per la nautica e l’assenso alla collaborazione con l’impresa Busco con conseguente trasloco da Chieti fin nella nostra città, per circa un anno.
Fino a quella mattina mentre stava raggiungendo l’azienda, quasi giunto al lavoro; l’impatto tremendo contro un autoarticolato. L’Opel sbattuta di rimbalzo su un muraglione di terriccio, accartocciata senza scampo.
Papà Pietro, dirigente responsabile del personale infermieristico della Asl di Chieti, è al lavoro in ufficio quando, a metà mattina, riceve la telefonata dai Carabinieri di Osimo che gli raccontano dell’incidente. Pietro, insieme al fratello Vittorio, tra i più noti avvocati d’Abruzzo, alla moglie Nicolina e all’altro figlio Amedeo, partono immediatamente alla volta dell’ospedale Torrette dove Mariano è arrivato in eliambulanza, in fin di vita.
Le notizie si accavallano per ore, frenetiche: è morto, non è morto, forse si opera, forse no.
Nella notte arriva la diagnosi: «Invasione ematica totale cerebrale, con fratture multiple a omeri e avambracci».
Il dopo inizia qui. È un percorso duro, fatto di iniziali 40 giorni in Rianimazione, la vita appesa a un filo, la famiglia che può vederlo solo un’ora al giorno, dall’altra parte del vetro.
Poi c’è il trasferimento a Porto Potenza Picena e infine a Chieti, mentre la famiglia comincia un viaggio infinito della speranza, passato per una clinica privata di Innsbruck.
Mariano viene trasferito in Austria in aereo e qui resta per altri lunghi nove mesi. Il tempo per i medici per fargli recuperare alcune funzioni vitali, come già ricordato, a livello di deglutizione.
Ma per il resto, con il passare dei mesi e degli anni, lo stato vegetativo diventa acclarato. Mariano è totalmente insensibile al mondo esterno ma da questi è ovviamente dipendente in tutto e per tutto. Solo la sensibilità al dolore, ulteriore ironia del destino, gli ricorda che è ancora vivo!
Così viene presa una decisione e fatto tornare a casa, nella sua Chieti, dove i suoi infaticabili genitori lo accudito giorno dopo giorno con una forza senza pari.
Quel ragazzo in coma, che amava il mare ed era inseguito dalle grandi aziende, è ora il centro della famiglia: mamma e papà decidono di sperare e non spezzare il filo. Anzi il dolore che li lacera dentro non li ha allontanata dalla beneficenza in tema: papà Pietro fonda a Chieti la cooperativa sociale “Azzurra”, casa-famiglia per disabili, a disposizione di chi ha bisogno di cure e assistenza prolungate sul solco del “dopo di noi”.
Nel 2015 infine, dopo 17 anni di coma senza speranza, la famiglia di Mariano scrive una lettera al Ministro della Sanità Beatrice LORENZIN e a Beppe ENGLARO, papà della giovane Eluana; genitore per primo in Italia che lottò con ogni mezzo con l’obiettivo di staccare l’alimentazione forzata e lasciare morire la figlia (anche lei in stato vegetativo dopo un incidente) e regalarle l’eutanasia, la dolce morte, il distacco da un mondo che non ci appartiene più.
«Le decisioni – scrisse Pietro – dovrebbero assumerle solo chi vive quotidianamente la tragedia; i familiari dovrebbero evitare di spettacolarizzare certi drammi e al contempo chiedere alle Istituzioni maggiore impegno concreto. Soprattutto a sostegno dei genitori».
La settimana scorsa, il 4 maggio, l’epilogo. Mariano muore a Bolognano, un centro assistenziale del Pescarese dove l’ex ragazzo, ormai uomo inconsapevole, era stato trasferito da qualche mese… proprio perchè fa perché Pietro, 79 anni e malato, e la moglie (che di anni ne ha tre in più) non riuscivano più a seguirlo a casa.
Sul manifesto funebre, la foto che ricorda Mariano da ragazzo osimano: per papà Pietro, per mamma Nicolina, per tutti, Mariano è infatti sempre rimasto così.