INCIDENTE SCARPONI:
“FORSE MICHELE NON HA UTILIZZATO
LA MASSIMA PRUDENZA…”

INCIDENTE SCARPONI: “FORSE MICHELE NON HA UTILIZZATO LA MASSIMA PRUDENZA…”

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Il Sole 24 Ore insinua la probabilità di un concorso di colpa

 

INCIDENTE SCARPONI:
“FORSE MICHELE
NON HA UTILIZZATO
LA MASSIMA PRUDENZA…”

Possibile entro l’estate il varo della norma salva-ciclisti

Tragica scomparsa di Scarponi. Forse anche Michele non ha utilizzato la massima prudenza per evitare l’incidente.

Il dubbio (il primo che abbiamo rilevato nel mare di notizie che ha fatto seguito la morte del campione di Filottrano) è ingenerato dal collega Maurizio Caprino che su “Il sole 24 ore” del 24 aprile – a cadavere ancora caldo – insinua il dubbio che l’impatto possa essere ricondotto ad un concorso di colpa tra Scarponi e l’investitore Giacconi.

Sull’onda dell’emozione ancora viva sembra in procinto di essere approvata dal Governo la norma “salva ciclisti”, ovvero un provvedimento che troverebbe ospitalità nel Codice della Strada e che fissa ad un metro e mezzo di spazio il minimo consentito ad un auto per il sorpasso di un ciclista.

Il punto in questione dovrebbe essere inserito come emendamento alla manovra fiscale di una settimana fa, cioè in sede di conversione in legge del DL 150. Ma è possibile che la novità, discutibile e non riconosciuta azzeccata da tutti, finisca in qualche provvedimento successivo o diventi l’oggetto di un decreto legge specifico, comunque da far entrare in vigore entro l’estate.

Ma torniamo per un attimo alla rilettura critica dell’incidente toccato in sorte a Scarponi cercando, colti da minor emozione, di comprendere sono sono effettivamente andate le cose.

Riproponiamo per questo, per intero, il pezzo a firma Maurizio Caprino.

“Alla tristezza per la morte di Michele Scarponi e per i suoi due bimbi piccoli che non vedranno più il loro papà, si aggiunge quella di vedere come l’incidente costato la vita al campione sia stato usato per rilanciare in modo confuso il delicato e serio tema della sicurezza dei ciclisti.

Ancor più triste è stato constatare che sui social network i commenti si sono divisi come al solito tra chi insulta gli automobilisti perché non si curano della presenza di chi va in bici e chi insulta i ciclisti perché invadono a gruppi le strade imponendo la loro andatura e sbucando da tutte le parti.

Forse un modo accettabile per onorare la memoria di Scarponi è fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto, da quel che si è letto nelle cronache a proposito della ricostruzione dell’incidente, non ha senso tirare in ballo la sicurezza dei ciclisti: qui c’erano un corridore che si allenava per conto suo, su strada aperta al traffico (dunque non un ciclista qualsiasi), un artigiano che guidava normalmente il suo furgone e un banale incrocio.

A norma di Codice della strada (articolo 145), entrambi avrebbero dovuto usare la massima prudenza per evitare incidenti.

Da foto e testimonianze si capisce che forse nessuno dei due lo ha fatto.

I periti e i giudici stabiliranno se è stato davvero così e chi ha avuto la responsabilità maggiore.

Dunque, pare non c’entrino le solite cose su cui si scatenano dibattiti, polemiche e ruffianate politiche quando si parla dei preoccupanti dati sulla mortalità di ciclisti e pedoni: distrazione da telefonino, arroganza nei confronti degli utenti deboli della strada, alcol, droga e velocità del veicolo a motore.

Pare che, più semplicemente, il sole del primo mattino abbia accecato il guidatore del furgone.

L’unico insegnamento che si può trarre dall’incidente del povero Scarponi, quindi, è che il sole radente fa brutti scherzi e che di questo deve tenere conto non solo chi lo ha di fronte (questo è ovvio), ma pure chi viene in senso contrario (che spesso non se ne rende conto perché a lui quella luce non dà fastidio e quindi non lo sfiora il sospetto che chi viene di fronte potrebbe commettere errori dovuti all’abbagliamento).

I problemi quotidiani peculiari dei ciclisti sono altri. Per esempio: buche, piste ciclabili che non ci sono oppure sono fatte male od ostruite da auto e pedoni, veicoli che “stringono” e non danno la precedenza nemmeno quando la visibilità è perfetta.

Per risolverli, si dice che il Governo voglia fare un decreto legge salva-ciclisti che, tra l’altro, imponga ai ciclisti l’obbligo del casco e agli altri guidatori di tenersi ad almeno un metro e mezzo di distanza dalle bici quando le sorpassano.

Quest’ultima misura lascia molto perplessi: anche volendo trascurare il fatto che su troppe strade italiane non c’è spazio per rispettarla senza bloccare il traffico, resta la sostanziale impossibilità di misurare quella distanza in fase di controllo su strada e di ricostruirla in caso di incidente (salvo che l’urto avvenga davanti a una telecamera). Insomma, rischiamo di avere la solita norma che fa tanto clamore ma poi di fatto non si può applicare.

Un triste assaggio di questo clamore si è visto sui social, con automobilisti scatenati a dire che il vero problema sono i grupponi di ciclisti che occupano la carreggiata come se stessero facendo una corsa autorizzata e la risposta di ultras della bici che respingono le accuse al mittente rinfacciando agli automobilisti un’attenzione nulla verso chi pedala.

Come si fa a non capire che esistono entrambi i problemi? Che c’è una differenza abissale tra strade urbane ed extraurbane, tra aree di pianura e di montagna, tra alcune zone dove la bici è diffusissima per tradizione, altre in cui ha avuto un boom negli ultimi anni e altre ancora dove è ancora sconosciuta ai più?

Che, con la crisi, è la guerra all’auto. Strade e marciapiedi si sono riempiti di ciclisti inesperti e fisicamente molto debolì, al punto da ondeggiare anche solo in pianura per un pò di vento contrario?

Che con le strade che abbiamo l’unico modo per sopravvivere tutti (e onorare la memoria di Scarponi, tirato in ballo in vecchie polemiche suo malgrado) il rimedio migliore è il rispetto reciproco?





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