Con una singolare motivazione preveggente, il Tribunale di Sorveglianza di Melfi ha restituito alla sua Corleone Pietro POLLICHINO, un capo dei capi.
Condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, dal carcere di alta sicurezza di Melfi ha fatto ritorno nella sua Corleone, già patria del “Capo dei capi” Totò Riina.
A godere della gioia di unirsi all’esercito di 374 camorristi, mafiosi e ‘ndranghetisti liberati in seguito allo scelleratissimo patto di marzo tra il Governo Conte e la Mafia, è toccato anche a 78enne Pietro POLLICHINO.
Curiosa, fra tante, la motivazione ritenuta equa dai giudici per buttare fuori di cella l’anziano mafioso: “Pollichino viene scarcerato per prevenire future complicazioni di salute!”.
Insomma il non più giovane boss gode miglior salute di una trota tra le fresche acque di un ruscello di montagna ma… non sia mai che in carcere dovesse soffrire aria cattiva, cibo non all’altezza, depressione da ristrettezza dei movimenti e comunque di qualsiasi patologia dovesse rendere la vita del detenuto, situazione di salute alla mano, meno ordinaria del previsto.
Con questi criteri – dovrebbe osservare per primo il Ministro di Grazia e Giustizia salvato dalla sfiducia proprio l’altro giorno grazie al voto dei senatori “Renziani” – difficile trovare, in tutto il mondo, un solo esemplare di essere umano adatto alla vita del carcere.
In attesa che ogni nodo giunga al pettine e che l’ira degli italiani faccia pulita, col voto, di simili di personaggi catapultati da una politica allo sbaraglio, prendiamo nota dell’ennesima “evasione di Stato”, datata 27 aprile.
Dunque anche dalla Basilicata i boss sono in partenza per le rispettive abitazioni, nei territori in cui hanno esercitato e continuano ad esercitare il vero potere.
È il caso del giù ricordato 78enne Pietro POLLICHINO, condannato nel 2018, dalla Corte d’Appello di Palermo, a 6 anni e 8 mesi di reclusione.
Ad ottenere la scarcerazione del pericoloso detenuto ha formalmente pensato l’avvocato difensore Giuseppe Colucci, attraverso istanza per Corona virus al tribunale di Sorveglianza di Melfi (Potenza) e da questi al Dap dell’allora Basentini.
Per il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il lucano ex procuratore antimafia di Potenza Francesco Basentini, POLLICHINO può lasciare il carcere nonostante non risulti positivo al virus, come del resto quasi nessuno in tutta la Basilicata!
E’ però bastata la minaccia teorica del virus per ordinare l’apertura per il boss dei cancelli dell’istituto di alta sicurezza.
E così anche la Basilicata è entrata nel tritacarne della bufera di polemiche, mista a verità burocratiche, che hanno e stanno ancora attraversando il Ministero della Fofò Bonafede.
Ciò che è certo è lo spessore criminale dell’ultimo beneficiato. Investigatori ed inquirenti siciliani inquadrano POLLICHINO, anche se dovesse mai ammalarsi, come «appartenente all’associazione denominata Cosa Nostra, operante nell’area Corleonese», nonchè «referente del sodalizio, intrattenendo rapporti con i consociati della suddetta associazione criminale; in particolare con il reggente del mandamento di Corleone, Rosario Lo Bue».
Tra le carte dei faldoni di inchiesta che ha portato alla condanna del ras, brillano diverse intercettazioni, quali, ad esempio, «a bordello è finito», pronunciata proprio da POLLICHINO in una riunione dei boss di Corleone.
Nel corso del summit, secondo gli inquirenti, la mafia si stava progettando un attentato all’ex Ministro Guardasigilli Angelino Alfano, altro politico da ricordare nei libri di storia patria.
Alfano, accusato di aver aggravato il carcere duro, andava punito con un attentato in grande stile, addirittura alla Kennedy, per intenderci!
«Perchè a Kennedy – si vanta lo scarcerato Pietro POLLICHINO dalla sua Corleone – chi se lo è masticato? Noi ce lo siamo masticato! Noialtri là in America». Gulp!
Il problema si può risolvere solo con un colpo di stato ,impossibile risolverlo democraticamente ho incruentemente ,un tribunale per chi a preferito i migranti al posto degli italiani